Dario Mattuissi – Ansprache Ausstellungseröffnung „Quando mori mio padre“, HTL Villach 2011
Ausstellung vom 11. bis 27. Oktober 2011 in der Aula der HTL-Villach zum Thema: Quando morì mio padre, Als mein Vater starb, Ko je umrl moj oče. Zeichnungen und Texte von slowenischen Kindern aus Konzentrationslagern der italienischen Ostgrenze.
Eröffnungsansprache: Dario Mattuissi vom Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale Leopoldo
Una tragedia dietro il cortile di casa.
La deportazione nei campi di concentramento italiani del confine orientale
Buonasera, un grazie sentito a tutti gli intervenuti, alla scuola che ci ospita, all’associazione “erinnern”, al Municipio di Villaco e a tutti quanti hanno collaborato alla realizzazione di questo allestimento.
Questa mostra, è nata assieme alla speranza di poterla far conoscere fuori dei confini della nostra regione, un progetto che abbiamo condiviso con Boris e Metka Gombač senza il cui lavoro non sarebbe mai nata. Ci sembrava e ci sembra ancora il coronamento di uno sforzo di divulgazione che ci impegna da anni.
Parliamo di campi di concentramento italiani e questo non è mai facile. L’indagine storiografica rischia di rimanere fine a se stessa se non è accompagnata da una divulgazione, capace di rendere l’opinione pubblica consapevole di quanto è accaduto. Parliamo ovviamente di un processo lungo, ostacolato anche dal silenzio sui campi di concentramento italiani nella manualistica scolastica.
Parliamo di una delle pagine buie della storia dell’esercito italiano. Le direttive impartite nel 1942 dagli alti comandi, in un quadro ideologico marcatamente razzista, prevedono l’utilizzo contro la popolazione civile degli stessi metodi applicati dai nazisti sul fronte orientale. Non dovrebbe sorprendere quindi che il tasso di mortalità registrato nel campo di concentramento di Arbe – Rab, dovuto alla fame, al freddo e alle condizioni igienico – sanitarie, sia stato per lunghi periodi superiore a quello dei peggiori campi di concentramento nazisti, esclusi quelli di sterminio.
La differenza consiste solo nella mancanza di un’efficiente “macchina della morte”, sostituita da condizioni di vita insopportabili di cui ovviamente sono i bambini a pagare il prezzo più alto. Si tratta di morti che non possono essere attribuite al caso. Sono invece il risultato di decisioni prese a tavolino con cui si programmava, ad esempio, un vitto del tutto insufficiente. Questo sia per non sottrarre risorse all’esercito, sia per rendere i prigionieri più deboli e quindi controllabili con il minor impiego di truppe. Non si condanna a morte quindi ma si lascia morire.
Esiste anche un problema di continuità tra regime fascista e governo Badoglio che deve essere affrontato.
I campi non vengono chiusi dopo il 25 luglio ma abbandonati solo dopo l’otto settembre, spesso a causa della fuga degli addetti alla sorveglianza. In alcuni casi con un ritardo tale da permettere la cattura degli internati da parte dei nazisti.
Prima di accostarsi alle testimonianze presentate in questa mostra e nel catalogo che l’accompagna credo sia necessario riflettere ancora sui perché della deportazione di migliaia di donne e bambini. I motivi del degenerare della deportazione e della crescita esponenziale dei suoi numeri sono probabilmente risposte alla stessa situazione sul campo. Da una parte la crescita della resistenza armata e il suo riorganizzarsi dopo ogni offensiva condotta dall’esercito sono la dimostrazione che l’uso indiscriminato della violenza avvicinava la popolazione alla resistenza anziché allontanarla, dall’altra, l’inefficacia di questa strategia spinge i comandi italiani a ordinare misure repressive sempre più drastiche, fino a pianificare la distruzione e lo spopolamento attraverso la deportazione in massa dei civili di una vasta zona al confine tra Slovenia e Croazia.
In questa tragedia la deportazione e la morte dei bambini potevano essere considerate un effetto secondario cui non dare troppo peso e forse senza i documenti degli archivi militari e civili e soprattutto senza le testimonianze, i disegni e gli scritti dei sopravvissuti potremmo davvero fingere che nulla sia accaduto, o che la responsabilità sia da addebitare esclusivamente ad un ristretto gruppo di criminali di guerra.
Invece i pensieri e i disegni dei bambini sopravvissuti alla deportazione e realizzati nel 1943 nelle scuole partigiane, nel tentativo di farli elaborare il trauma che avevano subito sono arrivati fino a noi grazie al lavoro dell’Archivio di Stato della Repubblica di Slovenia e del Museo Nazionale Sloveno di Storia Contemporanea. Sono disegni e parole semplici, che parlano di fame, di lutti, di sofferenze come solo i bambini possono fare e che ci condannano a una responsabilità collettiva che non può essere ignorata o rimossa.
Recuperare questa memoria e renderne consapevole l’opinione pubblica e soprattutto le generazioni più giovani è anche un dovere civile. Non solo un riconoscimento alle vittime di allora ma un impegno morale che ci coinvolge tutti che ci obbliga a pensare e a rifiutare qualunque forma di discriminazione verso l’altro.
Grazie.
- Ausstellung in der Aula der HTL-Villach. Thema: Quando morì mio padre, Als mein Vater starb, Ko je umrl moj oče. Zeichnungen und Texte von slowenischen Kindern aus Konzentrationslagern der italienischen Ostgrenze. Die Ausstellung war bis 27. Oktober geöffnet. Grußworte: Bürgermeister Helmut Manzenreiter. Eröffnungsansprache: Dario Mattuissi vom Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale Leopoldo Gasparini.